Arrampicare o scalare, sono la stessa cosa?

Arrampicare o scalare, sono la stessa cosa?

Le Grand Capucin (Monte Bianco)

Sin dalle prime esplorazioni verticali, la capacità di muoversi in questa dimensione, ha messo in evidenza quanto le qualità fisiche dello scalatore ricoprissero un ruolo complementare a quelle ben più importanti attitudini mentali. Ma mentre queste fossero difficilmente assimilabili e quindi innate e corredo genetico dell’individuo, alle prime se non all’altezza si poteva porre rimedio, facendo allenamento in quelle che venivano definite e chiamate “palestre di roccia”, in buona sostanza quelle che oggi l’evoluzione ha fatto diventare “falesie”. Con il passare del tempo, la conoscenza del movimento su roccia, diventa sempre più accurata e pertinente, fino alla comparsa dei primi muri casalinghi di allenamento a secco, per poi svilupparsi ed esplodere in quelle che oggi sono le palestre indoor.

Palestra indoor

In sintesi si passa così dalla roccia alla plastica (come vengono chiamate in gergo le prese/appigli in resina), in pratica si cerca di ricreare artificialmente la natura e le difficoltà della progressione su roccia.

Arrampicata in falesia (Faisbuk, 7b+ – Banana Republic, Buggerru)

In queste poche righe si riassume l’evoluzione degli scalatori moderni, che hanno spostato l’attenzione dalla conquista della vetta, alla soluzione della difficoltà che oppone l’elemento. Com’è ovvio pensare, in questo non c’è o ci sarebbe niente di sconvolgente, infatti gli scalatori non fanno altro che cercare di migliorare il loro background di forza fisica e gestualità per risolve passaggi sempre più al limite delle proprie capacità.

Arrampicata in falesia (Castello dell’iride – Masua)

Questo lascerebbe spazio a una semplice domanda: allora qual è il problema?

Mettiamola così, da quando l’arrampicata sportiva ha preso piede e acquisito sempre maggiori consensi, la maggior parte dei nuovi “adepti” di questa attività muovono i primi passi verticali sulla plastica e per questo preferiscono la comodità di una palestra, mettendo e relegando in secondo piano tutto ciò l’ambiente outdoor rappresenta.

In apertura dal basso, nuova via Multipitch (Monte Acqua, Domusnovas)

I pionieri di questa disciplina salivano le montagne, aprivano nuove vie nel tentativo di raggiungere a tutti i costi la vetta, era la voglia di avventura per la conquista.
La cima, la fine della roccia, il punto più alto, era quello l’obiettivo che si tentava di raggiungere, salendo tra buchi e fessure, diedri e camini seguendo quella linea logica che andava e portava su verso il cielo. Era semplicemente una questione di linee e verticalità.

Ma le cose cambiano e o si evolvono, è fisiologico, oppure forse è la risultante di più variabili motivazionali, poco importa ma adesso è così e bisogna prenderne atto.
A partire dalla fine degli anni ’80 (ormai sono passati quarantanni) ci si rese conto che poche erano le vie mai tentate in montagna, così ci si concentra di più sulle difficoltà tecniche sempre più elevate, appannaggio del puro piacere di una scalata in vie più brevi, da uno e o fino a un massimo di tre lunghezze di corda (cioè tra i 25/35 e o 90 metri).

Massimo Gessa su “Lodolaio” (Domusnovas)

Da qui in avanti l’arrampicata sportiva o free climbing, diventa una disciplina a se, con regole ed etica propri. Esattamente, l’arrampicata diventa Sportiva, perché a ben vedere propone gli stessi principi di uno sport, quindi si stacca da quella voglia e passione inspiegabile che guida l’alpinista verso la cima, ma una disciplina praticata per migliorare tecnica e costruirsi dita d’acciaio, al fine di migliorare le proprie performance di grado.

Attenzione non ci si deve far trarre in inganno dall’aggettivo inglese “free”, cioè libera, infatti non vuol dire che si sale senza corda, ma al contrario, “free” è da intendersi libero da pesi come chiodi, martello e altri attrezzi utili in montagna e soprattutto che per la progressione si fa utilizzo solo delle proprie capacità fisiche e si ricorre a corde e moschettoni solo per la protezione da cadute inattese e o per la calata dalla fine della via.

Highball bouldering (la piramide, 18 mt – San Priamo)

Proseguendo da quanto sopra, emerge come la filosofia a sostegno del free climbing sia quella di voler convogliare quanto più possibile l’attenzione sull’effettivo atto di arrampicare, senza lasciare spazio al piantare chiodi sulla roccia e o a posizionare aleatori nuts o friends. L’arrampicata sportiva si esprime al meglio dove la tavola è bella che apparecchiata e la linea è ben definita da una scintillante linea di fix o spit, riducendo così il tutto ad un’interpretazione, quasi teatrale, di un recital già andato in scena. Questo garantisce e trasmette la certezza che la salita è possibile e che la difficoltà sia certa ed avvalorata delle repliche degli altri attori.

In questo contesto crescono e si moltiplicano le palestre indoor di arrampicata, dove si iniziò da prima col tentativo di simulare i passaggi in roccia, disegnando sequenze di appigli di resina colorati (da grandi a sempre più piccoli), su pannelli di legno posti a varie altezze e inclinazioni (così da simulare gli strapiombi di roccia). Ovviamente una grande opportunità per allenarsi a secco e affinare le tecniche. Ma alla fine un’evoluzione, forse inaspettata o forse dettata dalla ricerca di un modo per fare delle palestre un’occasione di business (opzione quasi obbligata, visti i costi onerosi per la loro realizzazione e mantenimento), così ci si trova davanti ad un ovvia ed ennesima settorializzazione, portando a differenziare ulteriormente i climbers in specialisti dell’artificiale e frequentatori di falesie.

Svolta forse inaspettata? Non so, ma a ben guardare sembrerebbe la logica conseguenza di comportamenti e ragionamenti sempre più coerenti e convergenti verso una semplificazione dell’attività dell’arrampicata, fino a “relegarla” a sport sicuro e da svolgersi in ambienti sempre più controllati e protetti.

Scalata nel Pan di Zucchero (Masua – Iglesias)

Chiaramente in senso assoluto questo è bene, l’incolumità degli individui è fondamentale, ma se pensiamo alla radice da cui trae le sue origini, viene da pensare a tutt’altre conclusioni.
Volendo fare un esempio più comprensibile a tutti, è come se a un certo punto qualcuno decidesse che nelle gare di MotoGP, la velocità massima delle moto in competizione fosse 90 km/h, anziché gli oltre 300 km/h attuali. Certo l’incolumità dei piloti raggiungerebbe livelli altissimi, ma molti aspetti legati alle attitudini di questi centauri verrebbero drasticamente “messe da parte”.

Scalata nella Scogliera di Porto Flavia (Masua – Iglesias)

In falesia e maggiormente in montagna le cose sono ben diverse. La sensibilità che si ha con le prese naturali, che siano buchi o tacche, fessure o svasi e lo stesso muoversi nella verticalità è totalmente diverso. Tutto è più cauto e meno sfrontato che in palestra. In montagna decisioni che scaturiscono da ragionamenti superficiali e non ponderati, non trovano nemmeno spazio di esistere. Perché mentre in falesia con un “proviamo e vediamo come va!”, si rischia al massimo un bel volo spettacolare, in montagna l’esito di un volo è sempre difficile da prevedere, anche riuscendo a posizionarsi nel modo migliore possibile, l’esposizione al pericolo diventa esponenziale.

Arrampicata sul Monte Arci (Morgongiori)

Sono numerose le differenze, tra l’indoor e l’outdoor, una su tutte l’impatto col vuoto, con gli spazi ampi, con le distanze, i tempi, il clima, il vento, l’altezza, i rumori e ognuno di questi è in grado di causare non pochi problemi ad un esperto, semplicemente impensabile farsi trovare impreparati o peggio che mai inesperti.

Scalata in trad sui “Basalti Colonnari” di Carloforte

In conclusione, negli ultimi anni sempre più persone si stanno approcciando all’arrampicata sportiva, a questo sport così particolare, avventuroso, strano, adrenalinico, nuovo e sempre più presente sui media.
I motivi di questa crescita esponenziale?  
Le ragioni che portano all’arrampicata sono tante, tutte valide e allo stesso tempo sbagliate, perché c’è sempre il rovescio di una stessa medaglia. Solo per citarne alcuni, ci sono ad esempio gli alpinisti, quelli che per definizione sarebbero i veri scalatori, che abbandonano le montagne cedendo alle comodità delle vie spittate e delle falesie a poca distanza dal parcheggio. Poi ci sono quelli che ne hanno sentito parlare da un amico e hanno deciso di provare, poi quelli che hanno iniziato a scuola, ad un Turisport, ad una manifestazione di Fitness, all’open day di una palestra e nelle più svariate occasioni e circostanze. Tutti accomunati da uno stesso destino, quello che li ha portati ad appassionarsi.

Scalata nel Pan di Zucchero (Masua – Iglesias)

Ma attenzione a tutti questi ultimi, si guardino bene dall’improvvisarsi nell’andare in montagna impreparati, perché questa non fa sconti a nessuno e bene che vada vi respingerà bruscamente.

Highball bouldering (Cala Regina, Geremeas)

Essere arrampicatori sportivi vuol dire diventare bravi dal punto di vista tecnico, fisicamente allenati, ma mancherà del tutto la preparazione e l’esperienza necessaria per scalare i monti. Esperienza che si crea nel tempo, temprando lo spirito, ma soprattutto imparando a conoscere al meglio se stessi, maturando quell’attitudine necessaria al rispetto dei propri limiti e paure.

Scalare e arrampicare NON sono la stessa cosa, anche se spesso usati con troppa sufficienza come sinonimi.

Scalare e arrampicare NON sono la stessa cosa, anche se spesso usati con troppa sufficienza come sinonimi. Gli scalatori se pur temprati alla fatica e sicuramente capaci di spingersi verso i propri limiti fisici, mai farebbero lo stesso a quelli mentali, fondamentali per padroneggiare le molteplici situazioni che le “big wall” oppongono, dove la lucidità e freddezza faranno quanto necessario alla soluzione dell’imprevisto.

Ovviamente quanto sopra non vuole essere un modo per decidere chi è più o meno dell’altro, se l’arrampicata sia meglio della scalata, ma bensì una definizione più chiara sul significato delle parole, legandole meglio alle attività a cui si riferiscono. 

La bellezza del mondo verticale sta anche nella possibilità di variare e sconfinare ad uso e consumo del nostro personale piacere di vivere la verticalità.

Arrampicatore o Scalatore? La piazzetta, Capri!

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