Riflessione sulla Psicologia nell’Arrampicata Guidata.
L’arrampicata va oltre la semplicistica sfida fisica, è più uno sguardo approfondito alla psicologia degli individui che ci si cimentano.
Ancor di più se ci caliamo nel delicato gioco di ruolo dell’apprendimento, docent/ discente. Nella relazione istruttore/allievo, dove la capacità dell’insegnante di rivedere le proprie strategie/convinzioni svolge un ruolo fondamentale.
La verticalità della parete, diventa lo specchio dove si riflettono tutti quei processi mentali che si innescano durante la progressione. L’istruttore, considerato l’autorità, si immerge nel mondo complesso della mente degli allievi. L’abilità di rivedere le proprie convinzioni diventa cruciale quando ci si rende conto che ogni apprendista ha un approccio unico verso quella sfida verticale con cui desidera misurarsi.
Guardare alla parete come una tela psicologica, dove le paure, le sfide personali e le strategie di coping* emergono. L’istruttore, lungi dall’essere solo un dispensatore di conoscenza, diventa un esploratore dei diversi processi cognitivi, che distinguono le menti le une dalle altre, spinto a rivedere e adattare il proprio approccio a seconda delle necessità dettate degli allievi.
Sta nell’istruttore l’umiltà di riconoscere che le convinzioni possono essere sfidate e riformulate, è il cuore di questo processo. Questi assume la veste di psicologo delle altezze, un facilitatore che incoraggia l’esplorazione delle paure e delle resistenze individuali. Con questo approccio più umano e psicologico, l’arrampicata si esprimerà negli allievi ben aldilà di una conquista fisica; diventa un atto di connessione, crescita e scoperta continua.
In questo contesto, l’istruttore assume il ruolo di esploratore della mente e catalizzatore del cambiamento, gestendo con cura la sua figura in questa alternanza di ruoli.
Tuttavia, spesso, si percepisce un’ombra nell’approccio all’arrampicata guidata, come un rumore di fondo. Infatti è fin troppo comune che sia l’istruttore a influenzare fortemente la visione dei singoli e complessiva del gruppo, riguardo all’ambiente dell’arrampicata.
La sfida risiede nell’innata propensione umana a essere influenzati dalla percezione personale del contesto in cui ci si muove e nel raccontarne la propria interpretazione, condizione dalla quale l’istruttore non è immune. Questo non costituirebbe un problema se non fosse per il fatto che, quando si assume il ruolo di insegnante, diventa necessario trasmettere agli allievi la visione di un ambiente (un mondo) derivato da valutazioni puramente oggettive e scevro di personalizzazioni/considerazioni soggettive. Questo approccio sarebbe funzionale e mirato a consentire ai discenti di sviluppare una visione oggettiva del contesto, senza pregiudizi o preconcetti.
Per questo sarebbe opportuno invertire questa dinamica: il gruppo dovrebbe dettare il climax basandosi sull’iniziale sentimento comune di positività ed entusiasmo che contraddistingue gli apprendisti, mentre l’istruttore si preoccuperà esclusivamente degli aspetti puramente didattici.
Credo che molti degli aspetti/atteggiamenti/comportamenti negativi che si riscontrano tra i climbers, derivino proprio da questo condizionamento.
Questa (ipotetica) inversione di tendenza e o presa di posizione, non solo enfatizzerà l’importanza di un ambiente di apprendimento positivo, ma anche l’autonomia e l’empowerment** degli arrampicatori. Inoltre se il gruppo definisce il climax, l’istruttore può focalizzarsi sul sostenere il processo di apprendimento, rendendo l’arrampicata un’esperienza più significativa e partecipativa per tutti.
È quanto cerco di realizzare ormai da diversi anni, o meglio da quando ho preso coscienza di questo particolare aspetto. Condizione o condizionamento (osservabili in climbers che ovviamente hanno avuto l’imprinting da differenti istruttori o aree) che caratterizza i gruppi che si osservano in falesia. Infatti non è difficile imbattersi in comportamenti/atteggiamenti diversi, semplicemente voltandosi a destra e poi a sinistra rispetto al nostro personale punto di osservazione.
Con questa riflessione presento l’ultimo settore realizzato da me e Barbara, insieme a un gruppo (molto) eterogeneo di climbers, che si sono prestati e affaticati sia nella chiodatura che nell’acquisto del materiale necessario. Il nuovo settore si trova nella parte alta del Canyon di San Nicolò, una decina di vie e una via lunga chiodata dal basso.
Il settore l’ho chiamato “I Mocciosi”. Il nome non è casuale, infatti vuole avere una duplice chiave di lettura. Una quasi banale legata al mio cognome, essendo stato realizzato con climbers che in questi anni mi hanno seguito e partecipato attivamente alle iniziative proposte. L’altra si riferisce a “mocciosi“, il termine colloquiale italiano utilizzato comunemente con i ragazzini, spesso con connotazioni di vivacità, birichineria o di comportamento un po’ sfrontato. Tuttavia, il termine può variare il suo significato a seconda del contesto e del tono utilizzato. In alcuni contesti, può essere usato in modo affettuoso o scherzoso, mentre in altri può assumere anche una connotazione più negativa.
Quindi in definitiva stiamo descrivendo un po’ tutte le personalità degli arrampicatori.
L’idea di questo articolo è quella di creare una connessione tra i due argomenti (la riflessione di apertura e la presentazione del settore), infatti a tal proposito ho chiesto a tutti i partecipanti di scrivere il loro pensiero, senza dare alcuna indicazione o vincolo e quelli che seguono sono i testi integrali di coloro che hanno risposto, dando la loro personale visione di quanto hanno vissuto.
Note:
*strategie di coping = il concetto di coping è stato introdotto dallo psicologo Richard Lazarus e può essere definito come il processo messo in atto in una situazione valutata come personalmente significativa ed eccedente o comunque gravosa sulle risorse individuali per farvi fronte (Lazarus & Folkman, 1984).
Il termine è stato importato dalla lingua inglese dove la traduzione di coping è “fronteggiare” dal verbo “to cope”. In psicologia il significato di coping indica tutte quelle azioni che vengono messe in atto per affrontare una situazione avversa o nuova.
**empowerment = insieme di azioni e interventi mirati a rafforzare il potere di scelta degli individui e ad aumentarne poteri e responsabilità, migliorandone le competenze e le conoscenze
Testo di Mattia T.:
Squilla il telefono, è Giampaolo.
“Ciao Mattia, ti faccio passare una brutta nottata, te la senti di aiutarmi domani a chiodare dal basso?”
“… si!” Rispondo, colmo di incoscienza…
A volte anche dei piccoli sogni si realizzano se hai la fortuna di incontrare le persone giuste.
Ho conosciuto il canyon San Nicolò questa estate grazie a Giampaolo e Barbara, ed è facile innamorarsi di questo paesaggio. È un luogo selvaggio, faticoso, silenzioso, severo, possiede tutte le caratteristiche di ciò che amo di più dell’arrampicata: l’avventura, il viaggio.
Quindi il gruppetto dei “Mocciosi” si incammina nella faticosa pietraia per raggiungere il nuovissimo settore omonimo: un bellissimo tratto di roccia cattivo, che solo le capre prima di noi hanno affrontato, per di più senza protezioni.
Arrivato alla base realizzo solo in quell’istante in cosa mi son imbarcato..supportare Giampaolo, provare ad assicurarlo mentre sale un tratto di roccia vergine, carico come un carpentiere, tra trapano, martello, ferramenta..e poi.. chissà quanti chiodi metterà…
Mentre gli altri Mocciosi Barbara e Efisio, si occupano della tracciatura e chiodatura di altre vie del settore, inizio ad essere pervaso da un senso di ansia ma positivo, misto di paura, curiosità, voglia di imparare.
Le vie di questo nuovo settore, sono dei viaggi verticali, ogni tiro da 30, 35 metri sfama la grande voglia di arrampicare, e si va via sempre stanchi, ma tanto appagati.
L’idea di Giampaolo è chiodare dal basso il secondo tiro di una via che ha già uno sviluppo di 35 metri..in pratica una via lunga…
Controllato tutto il materiale necessario, si parte. Giampaolo sarà il primo ed io il secondo.
Il Mocci arriva presto in sosta, poi tocca a me salire. La salita del primo tiro è stata veloce, ho pensato a conservarmi le energie, soprattutto quelle mentali, per affrontare il compito speciale che mi spettava dopo. Non sono né un arrampicatore, né un alpinista esperto, sono solo un amatore appassionato, con pochissima esperienza. La mia grande consolazione era la grande esperienza (incoscienza) del maestro a portarsi dietro uno come me. Parlavamo in macchina durante il viaggio di Alex Honnold, il più forte arrampicatore free soloist, ovvero arrampica senza nessuna protezione. Giampaolo ci ha parlato di questo studio recente, in cui la risonanza magnetica funzionale ha evidenziato una scarsa attività dell’amigdala, una parte del cervello, simile ad una piccola mandorla grigia, che gestisce le emozioni e in particolar modo la paura, si può leggere qualcosa qui: https://www.montagna.tv/97729/alex-honnold-climber-senza-paura/
… questo discorso non mi faceva star troppo tranquillo visto il mio compagno di arrampicata…
Arrivato in sosta, Giampaolo ha attrezzato, oltre la sosta, anche un terzo punto spostato lateralmente su un bell’alberello che sarà la mia casetta per un po’ di tempo. Mi divincolo con un certo impaccio per sistemare la corda pronta alla salita del maestro, alla fine siamo pronti. Io col secchiello e la paura in mano , Giampaolo col trapano, fix, rinvii, martello, il coraggio nelle mani decide di partire. “Mi raccomando Mattia lasciami morbido”… Certo! Il momento è critico, Giampaolo sale, sale, sembra quasi non avere intenzione di proteggersi..tra la sosta e Giampaolo già 5 metri di corda, finalmente si mette “comodo” e buca la roccia, e il primo chiodo è messo..tiro un sospiro di sollievo ma è solo l’inizio dell’avventura. Anche il posizionamento del secondo chiodo, è da infarto, altri 5, 6 metri di corda ma posso già un minimo essere più tranquillo una volta stretto il secondo dado.
Andiamo avanti così, lui sale, buca, batte, avvita..e quasi non lo vedo più, ma mi tranquillizzo del tutto..pensando solo a tenerlo morbido, guardo il lasco della corda, ma rimango sempre pronto a tutto. Si prospetta la possibile sosta, dopo circa 30 metri di salita e poche protezioni, ma Giampaolo intuisce che, se la corda lo permette, si può arrivare ad un bel pianoro scavato sulla roccia. Infatti misurata la corda restante, decide di proseguire e arrivare al pianoro intravisto. Fatta la sosta. “Molla tutto!” mi grida! Penso tra me e me: ” È finita…” Il pensiero successivo è: “Caspita mi tocca salire! Come sarà? Va be’ Mattia non sai manco la difficoltà, sei appeso, sali e basta.”
La sensazione di salire su un tratto di roccia vergine, selvaggio, è entusiasmante. Ci si sente Indiana Jones a pochi km da casa. Sei totalmente concentrato, sai che ogni presa, ogni appoggio, può staccarsi da un momento all’altro, quindi provi a salire leggero, assaggi la roccia, la accarezzi con rispetto.
Questo sentimento di gioia, curiosità, avventura, accompagna la salita del secondo tiro appena chiodato con coraggio da Giampaolo. L’itinerario è magnifico, ma la più grande soddisfazione è stata arrivare in sosta. Una bellissima cengia scavata dalla natura, che ha coronato un bellissimo sogno. Grande emozione, riconoscenza e affetto nei confronti del maestro e amico Giampaolo per avermi fatto vivere questo momento, per la riposta fiducia/incoscienza. I mocciosi dalla base esultano e si complimentano per l’impresa.
L’arrampicata moderna è fatta di itinerari, che qualcuno illuminato, coraggioso, ha attrezzato con passione e fatica, quasi sempre a spese proprie, per il piacere personale ma con tanta generosità nei confronti di tutti i climber. Vivere l’arrampicata anche da questa prospettiva è stato un regalo unico.
Perché un essere umano arrampica?
Ognuno risponde a suo modo.
C è chi ama affrontare il passaggio, risolvere il problema, lavorarlo anche in maniera ossessiva.
C è chi ama salire un tratto di roccia in maniera fisica e muscolare, mettendo a frutto tutto l’allenamento svolto in palestra.
Poi ci son quelli che studiano in modo maniacale i sassi, cristallo per cristallo.
Poi ci sono i romantici come me, che va bene tutto..il passaggio enigmatico da interpretare, il lancio atletico, la forza esplosiva nello strapiombo, l’eterna ricerca dell’equilibrio… ma arrampicano soprattutto per vivere un’ avventura, un viaggio, scoprire il mondo da un’altra prospettiva, unirsi alla natura per conoscersi meglio, vivendo emozioni intense con l’atmosfera e le persone speciali.
Ma la paura? Ne ho avuta tanta.
E Giampaolo? Forse anche lui spegne l’amigdala.
Testo di Pietro D. :
Giusto due righe su questa esperienza.
Non si ha tutti i giorni la possibilità di chiodare una via, per questo ringrazio Giampaolo.
Questa giornata è stata piena di emozioni bellissime che porterò sempre con me. L’avvicinamento alla base della via, il vento, la roccia tagliente, il carico di materiale da portare su, ma tutto questo però è stato possibile grazie al gruppo di amici che si è formato.
Grazie ragazzi 💪🏽
Testo di Alessio G. :
Ciao sono Alessio, il nostro maestro ci ha chiesto di esprimere un pensiero su questa nuova esperienza, la chiodatura del nuovo settore al canyon.
Anche se effettivame sino adesso io non ho potuto partecipare fisicamente, ho comunque qualche riflessione da fare, suggerita da alcune mie esperienze passate proprio li e dagli aggiornamenti frequenti, arrivati sempre e per ogni occasione.
Tornando indietro, quel settore lo vedemmo in un soppraluogo insieme, linee immaginarie in una giornata per me entusiasmante… si scalava appunto con il maestro, ma c’era molto altro. Ciò che chiamiamo immaginare un settore, ancora da creare, al momento invisibile ai miei occhi, ma ovviamente non posso dire lo stesso per lui che come si vede l’ha infine creato.
Credetemi so benissimo cosa si prova a partecipare a queste iniziative entusiasmanti, per quanto mi riguarda la scalata e la chiodatura sono una cosa sola, io infatti con richieste molto molto velate ho sempre pressato per parteciparvi.
Ma questo è avvenuto solo quando lui disse che potevo e allo stesso modo con grande autorità me lo negava in precedentemente.
Dalla prima esperienza quel posto mi è rimasto nel cuore e nella mente, ho chiodato e scalato, chiodato e scalato, pertecipato a nuove chiodatura e aperto nuove vie, tutto mi appagava, anche il solo fatto di far sicura ed ammirare nuove linee create dal maestro, l’importante era essere li e starci il più possibile.
Quindi in conclusione la mia piccola esperienza mi dice che: chiodare e scalare significa condividere la tua passione per la roccia e per la montagna, creando un contatto con quella parte della roccia più profonda che non vediamo, ma che crea unione con lo scaltore. La roccia quella che così tanto amiamo sfidare, ma che ci lascia quell’emozione e quell’adrenalina che in poche altre occasioni ho provato.
Ho lasciato li qualcosa e che nessuno potrà mai cancellare dai miei ricordi. Colgo l’occasione per ringraziare per queste stupende esperienze, oltre al maestro, Barbara che ha sempre avuto un ruolo importante nelle mie partecipazioni, oltre alla continua comunicazione e interesse a tenermi aggiornato, durante la mia assenza forzata.
Testo di Lilly S. :
11/09/23 il Maestro d’arrampicata Gianpaolo Mocci mi invia un messaggio con una foto. Rimasi sorpresa nel vedere quell’immagine e riconobbi il posto, Canyon San Nicolò.
La mia prima impressione è stata “sicuramente vie per me difficili”, ma il Maestro mi disse “meno di quanto immagini”. Amando tanto il Canyon di San Nicolò ho comunque deciso di cogliere al balzo la proposta di partecipare alla creazione di questo nuovo settore. Avvicinamento impegnativo, ma il panorama una volta arrivati è magnifico e ne vale tutta la fatica.
Grazie al Maestro, anche questa volta, mi sono potuta mettere alla prova e superare quei limiti che troppe volte mi bloccano.
Testo di Massimiliano T. :
Il settore I Mocciosi al Canyon di San Nicolò è l’ennesima prova di come l’arrampicata possa creare sintonia.
Sintonia con un luogo in cui adoro passare le calde giornate estive, con un ideale di quello che l’arrampicata significa per me, con un’idea di creazione di qualcosa di nuovo e con la persona che l’ha avuta. Per tutto ciò ho aderito alla proposta di partecipare alla realizzazione di questo settore.
Sintonia che ho percepito anche al momento della tracciatura e chiodatura, con lo scambio di idee e visioni insieme a Giampaolo, che hanno portato alla sempre interessante e positiva esperienza, della nascita di una nuova via.
Ringrazio quindi il Maestro Giampaolo per la sua disponibilità nel trasferirmi le sue conoscenze e rendermi partecipe nei suoi progetti.
Testo di Pietro L. :
Ciao Giampaolo.
Sono pienamente d’accordo con la tua visione, l’arrampicata non è solo qualcosa di fisico, ma può essere un modo per andare oltre e coinvolgere l’intera sfera personale. Anima e corpo si esprimono nell’atto dell’arrampicata.
Mi avevi chiesto di scrivere qualcosa riguardo alla chiodatura.
Ecco è venuta l’ispirazione.